Il 1° maggio del 1959 Giovanni XXIII rivolge un caloroso discorso agli aclisti.
La parte iniziale è straordinaria: «In questa luminosa giornata, in cui la festa del Patrocinio di S.Giuseppe sulla Chiesa universale fu trasferita a speciale significazione di protezione e di esempio per tutti i lavoratori, Noi amiamo sentirvi particolarmente vicini al Nostro cuore, diletti Nostri figli e figlie. La storia della vostra grandiosa Associazione è recente; ma per il mondo del lavoro la Chiesa ha sempre nutrito un ardente fremito di carità, che con voi ha ora preso una forma particolare, accanto ad altre espressioni associative, anch’esse nobili e preziose. Vi abbiamo cari, perché abbiamo visto in voi il compimento di ideali, alla cui effettuazione instancabilmente operarono veri precursori dell’odierno rinnovamento sociale, che conoscemmo da vicino, nella primavera del Nostro sacerdozio. Nella diletta Bergamo, che fu tra le prime diocesi d’Italia ad elaborare un coraggioso programma sociale: al fianco di un grande Pastore di anime, l’amatissimo Mons. Radini-Tedeschi, imparammo come si prendono a cuore le sorti dei lavoratori; dalla sua decisione e dal suo zelo avemmo la prova eloquentissima delle materne sollecitudini della Chiesa per cotesti suoi figli.
Vi abbiamo sempre seguiti con simpatia, anche se il servizio della Chiesa ci teneva lontani dall’Italia. E quando, per obbedienza, accettammo il governo della Nostra Venezia, potemmo apprezzare da vicino, e con crescente stima, l’opera svolta dalle vostre Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, con larghezza di visuale e con fervore di propositi. In voi vediamo tutti i lavoratori d’Italia e del mondo, i quali, come voi credenti e figli fedeli della Chiesa, celebrano oggi il valore prezioso e santificatore del lavoro.
Con paterna effusione li salutiamo tutti: sia quelli che, nell’uso dei talenti dell’intelligenza e della cultura, compiono la loro spirituale attività; sia quelli che impiegano la forza delle loro braccia al servizio della società, operai dei campi e delle miniere, dell’industria e dell’artigianato, delle officine e dei laboratori; lavoratrici della casa e del negozio, delle risaie e degli stabilimenti. Tutti sono egualmente cari al Nostro cuore».
È sempre vivo nella memoria degli aclisti il ricordo di quando Giovanni XXIII, l’11 aprile del 1963, firma l’enciclica Pacem in terris con la penna a lui donata dalle ACLI due anni prima, in occasione della pubblicazione della Mater et Magistra.
L’enciclica è accolta dalle ACLI con convinta adesione, perché sembra la conferma della strada intrapresa fin dalle loro origini.
Achille Grandi indica, infatti, nel 1945 la Rerum novarum di Leone XIII – la prima “enciclica sociale” del 1891 – come il principio ispiratore e la guida per l’impegno aclista nella società italiana. Fin da subito le ACLI sono, perciò, in prima linea su terreni fino a quel momento impervi e inesplorati e per lungo tempo rappresentano un crogiuolo di sperimentazione sociale e un ponte fra la Chiesa, il partito di ispirazione cristiana, il governo e la società.
Per questo la pubblicazione della Pacem in Terris – avvenuta quasi vent’anni dopo la loro fondazione – non coglie le ACLI impreparate, ma anzi è addirittura vissuta come una sorta di conferma per quanto di nuovo e di moderno esse hanno portato all’interno della società e del mondo ecclesiale del tempo.
La Pacem in Terris è rivolta, con un’indubbia innovazione, non solo ai patriarchi, ai vescovi, al clero e ai fedeli, ma anche “a tutti gli uomini di buona volontà”, che debbono acquisire la matura consapevolezza che non esistono guerre giuste: bellum alienum a ratione, nel testo latino.
Questa enciclica-testamento (Giovanni XXIII morirà il 3 giugno 1963, un paio di mesi dopo la sua pubblicazione) rappresenta nella storia aclista un punto di non ritorno per la scelta della pace in un mondo che cambia.
Non c’è dubbio che le ACLI abbiano accolto e testimoniato sempre con profonda coerenza, la preziosa e impegnativa consegna che la Pacem in Terris ha lasciato ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà.
Nel quarantennale della pubblicazione dell’enciclica giovannea, per conto dell’Editoriale Aesse, è stato pubblicato un libro ricco di documenti e testimonianze dal titolo, Le Acli e la Pacem in Terris: memoria, attualità, profezia.
Papa Francesco, parlando il 3 ottobre del 2013, nel 50° anniversario della Pacem in Terris, ha efficacemente riassunto la novità dell’enciclica, che poi è anche del Concilio Vaticano II nel suo insieme: «La Pacem in Terris non intendeva affermare che sia compito della Chiesa dare indicazioni concrete su temi che, nella loro complessità, devono essere lasciati alla libera discussione. Sulle materie politiche, economiche e sociali non è il dogma a indicare le soluzioni pratiche, ma piuttosto sono il dialogo, l’ascolto, la pazienza, il rispetto dell’altro, la sincerità e anche la disponibilità a rivedere la propria opinione».
Giovanni XXIII ha voluto così bene alla nostra associazione che le sue ultime parole pronunciate sul letto di morte si riferiscono anche alle ACLI: “Benedico la Chiesa, il sacro collegio, tutti i fedeli e specialmente i bambini, gli ammalati, le ACLI e le associazioni cristiane dei lavoratori di tutto il mondo”.
A cura dell’Archivio Storico delle ACLI Nazionali [dt_vc_list style=”2″]
- Discorso di Giovanni XXIII alle Acli – Roma, 1°maggio 1959
- Il nostro Papa Giovanni, Santo Quadri, in Azione Sociale n.23, 9 giugno 1963
- Memoria e profezia, Giuseppe Pasini, in “Le Acli e la Pacem in terris”, Editoriale Aesse, Roma, 2003, pp.41-50
- Discorso di Francesco I ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 50° anniversario della Pacem in Terris – Roma, 3 ottobre 2013
- Prima pagina di Azione Sociale n.23, 9 giugno 1963
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