Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana
“Giuro di essere fedele al Re… e al Regime Fascista”. In dodici rifiutano di giurare
“Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante ed adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla patria e al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non si concilii con i doveri del mio ufficio.
Nessuno più oggi li ricorda. Ma quasi novant’anni fa dodici professori universitari italiani – su 1238 – si rifiutarono di pronunciare queste parole, il giuramento obbligatorio imposto dal regime fascista con la legge 1227 del 1931. Vale la pena ricordare i loro nomi e toglierli dall’oblio in cui sono finiti: tre giuristi (Francesco e Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto), un orientalista (Giorgio Levi Della Vida), uno storico dell’antichità (Gaetano De Sanctis), un sacerdote teologo già accusato e condannato di modernismo (Ernesto Buonaiuti), un matematico (Vito Volterra), un chirurgo (Bartolo Nigrisoli), un antropologo (Marco Carrara), uno storico dell’arte (Lionello Venturi), un chimico (Giorgio Errera) e uno studioso di filosofia (Piero Martinetti). Tra loro “nessun professore di storia contemporanea, nessun professore di italiano, nessuno di coloro che in passato s’erano vantati di essere socialisti aveva sacrificato lo stipendio alle convinzioni così baldanzosamente esibite in tempi di bonaccia”, disse Salvemini, in quegli anni esule negli Stati Uniti.
Questi dodici uomini (“i loro nomi andrebbero scolpiti sui muri delle università italiane”, scriverà a metà degli anni Sessanta Ignazio Silone) scelsero invece di non piegarsi e per questa ragione persero la cattedra e subirono un pesante isolamento.
I dodici eroi aggrediti dalla propaganda fascista. Un libro racconta
Nei giorni successivi alla loro scelta la propaganda fascista fu spietata nei loro confronti. “Undici su milleduecentoventicinque. Fa ridere! Sinceramente vorremmo che fossero altrettanti i malati in confronto ai sani, i rachitici a paragone con i fisicamente robusti, i deficienti con gli intelligenti, i disonesti di fronte ai virtuosi…”.(Il Popolo Toscano); “Fuori dalle nostre Università, fuori dai nostri laboratori, fuori dall’Insegnamento Italiano, fuori, fuori!”. (Il Bargello; “Confidiamo nell’erompente fede fascista dei gruppi universitari. È fatale che i giovani, nel campo della passione politica, siano all’avanguardia e insegnino moltissime volte la strada agli anziani” (Il Popolo di Lombardia).
La storia di queste dodici persone è stata magistralmente raccontata alcuni anni fa da Giorgio Boatti (“Preferirei dire di no”, Einaudi) che “con pazienza, rigore e affetto” ha ripercorso il tragitto di quei dodici isolati viaggiatori “che possono insegnarci l’arte di attraversare la ventosa terra del ‘no’. Timoroso orizzonte, spesso mai varcato, del nostro vivere quotidiano”. Un libro da leggere. Che racconta, in modo dettagliato, biografie diverse per storia, carattere, estrazione sociale. Accomunati da un gesto posto senza enfasi, da una scelta fatta in nome della propria coscienza. Più importante della carriera.
Una lezione preziosa. Anche oggi
Una lezione per i tanti conformisti di ogni epoca. E per i tanti che chiedono, anche oggi, che fine hanno fatto gli intellettuali. Per chi si interroga sul valore della coscienza e della libertà, della dignità e della coerenza interiore, che non possono mai essere piegate o costrette. Né dallo Stato né dalla Chiesa. Lo ricordò bene il grande storico Gaetano De Sanctis che così motivò il suo rifiuto al giuramento: “Credo di avere in tutta la mia vita di insegnante dimostrato il massimo ossequio alle leggi, ai regolamenti e in generale alla disciplina accademica. Mi duole quindi doverLe dichiarare che in questa occasione non posso ottemperare al Suo invito. Mi sarebbe infatti impossibile prestare un giuramento che vincoli o menomi in qualsiasi modo la mia libertà interiore, la quale io credo mio dovere strettissimo di studioso e di cristiano rivendicare, di fronte alle autorità statali, piena e assoluta”