Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Kaun Manreet, figlia di una coppia di genitori indiani, è la prima bimba nata del 2020 in bergamasca. A Brescia invece è stata Elizabeth, figlia di genitori di origine moldave mentre a Torino il primo è stato Aaron, da mamma Raluca e papà Iulian, entrambi di origine rumena.
L’Italia sta cambiando. La natalità al minimo
Questi bambini, figli di immigrati ora cittadini italiani, sono il segno più evidente del profondo cambiamento in atto nel nostro Paese. Piaccia o non piaccia. Cambiamento in atto anche nella nostra Bergamo. Per comprenderlo, bastano pochi dati: quasi il 17% dei residenti in città è immigrato extracomunitario; un altro 5% ha ora la cittadinanza italiana. Alcune classi di età (come i trentenni) superano il 33% (uno su tre, quasi il 40% contando la cittadinanza). I bambini fino a 5 anni sfiorano il 35% (con cittadinanza). Le tendenze demografiche già in essere porteranno a breve la città di Bergamo ad avere un nuovo cittadino su tre di origine extracomunitaria.
Se invece vogliamo allargare lo sguardo al nostro Paese è utile leggere gli ultimi dati ISTAT riguardo la popolazione italiana. Al primo gennaio del 2019 eravamo residenti in 60 milioni 359 mila 546. Rispetto all’anno prima 124 mila in meno. Ma il saldo naturale (vivi e morti) è ancora peggiore. Nel 2018 era negativo per 193 mila 386 unità. I nati vivi nel 2018 (439 mila 747) sono al minimo dall’Unità d’Italia. Il tasso di fecondità è 1,32 per donna. Dovrebbe essere superiore a 2 per garantire la stabilità della popolazione. «Ultimi gli italiani», senza volerlo. Questo è lo slogan vero.
Gli extracomunitari sono meno di quanto si pensa
La popolazione straniera residente era pari, alla fine del 2018, sempre secondo i dati Istat, a 5 milioni 255 mila 503 unità, l’8,7 per cento del totale con un incremento di 111 mila unità, senza tenere conto ovviamente degli irregolari. La Svizzera è al 25 per cento; la Germania all’11,7. Siamo all’undicesimo posto in Europa per presenza di immigrati. Nel 2018 i nuovi permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini non comunitari sono stati 242 mila, il 7,9 per cento in meno rispetto a un anno prima. Il sollievo di meno sbarchi, meno arrivi per la prima volta dall’Africa — di cui si è parlato tanto in questi giorni — è compensato dalla constatazione, più amara e silenziosa, che l’Italia come terra di emigrazione non sia più così tanto attrattiva. Perché non cresce. E, infatti, aumentano dell’1,9 per cento i nostri connazionali che si trasferiscono all’estero in cerca di un lavoro. In realtà sono molti di più perché le statistiche registrano solo le cancellazioni all’anagrafe. Oltre il 65 per cento dei nuovi permessi a immigrati è andato a persone con meno di 30 anni. Mentre i nostri giovani — l’emergenza emigrazione di cui non ci occupiamo — soprattutto laureati e in particolare dal Sud se ne vanno in massa. Il saldo migratorio, da anni ormai, non compensa la negatività del saldo naturale. Fa peggio di noi, in Europa, solo la Romania che è un Paese a fortissima emigrazione. Insomma, non c’è una invasione, semmai una lenta inesorabile evacuazione.
Come bene ha scritto Ferruccio De Bortoli sul Corriere: “Vivere di slogan, false percezioni e pregiudizi, è il modo migliore per invecchiare ciecamente, impoverendosi nel rancore, lasciando in eredità non solo debiti ma anche l’incapacità di capire l’evoluzione futura del Paese. Una società multietnica è inevitabile. Bisogna solo scegliere se governarla o semplicemente subirla.”