Se una preoccupazione è davvero avvertita come decisiva, allora le sue manifestazioni sono tante, in tanti modi differenti, anche inaspettati. La preoccupazione per un mondo più sostenibile e più gentile si manifesta in molti modi, facendo emergere tante buone prassi. Ci sono i giovani (Friday for future), ci sono i gruppi di volontariato (recupero delle eccedenze alimentari, gruppi di acquisto solidale, orti urbani), ci sono le famiglie (riduzione dello spreco, uso di prodotti bio), c’è la società civile (Manifesto di Assisi, Symbola, Asvis ecc.), c’è la scuola (progetti educativi per l’ambiente), c’è l’industria (la green economy, le automobili elettriche, la filiera agro-alimentare), ci sono i comuni e le amministrazioni pubbliche (dalla raccolta differenziata alla disciplina dell’energia). Ora sono arrivate anche alcune politiche statali (la plastic tax, il buono mobilità e in generale il cosiddetto green new deal). Insomma, a parte i vari inglesismi, il colore e la destinazione sono evidenti a tutti: sono molti i soggetti che vogliono un’economia e un mondo a misura d’uomo contro la crisi climatica. Fin qui tutto bene. Ma come procedere per il futuro?
Anzitutto occorre rafforzare chi abbiamo già elencato. Questo rafforzamento deve riuscire a tenere insieme l’ecologia col sociale e con la visione dell’uomo. Detto in modo più esatto: una visione ecologica non è credibile se slegata da una riflessione antropologica e se non include un progetto sociale. La tutela dell’ambiente non può limitarsi a preservare l’ambiente, ma anche sostegno all’uomo, ai suoi bisogni e alla sua natura, alla comunità in cui abita e lavora. Detto con uno slogan apparso in uno dei friday, l’ecologia senza giustizia sociale è solo giardinaggio.
Tutti i diversi soggetti che abbiamo citato devono poter dar spazio alla loro creatività, alla loro intelligenza emotiva e razionale per immaginare, progettare e mettere in atto delle prassi buone, sostenibili, innovative e belle. Usiamo quest’ultimo aggettivo perché in tutta questa partita l’elemento della bellezza è centrale. La bellezza salverà il mondo, faceva dire Dostoevskij al principe Mischkin: la bellezza è un linguaggio universale che unisce e soddisfa anche il nostro desiderio di dedicare tempo e risorse a cose esterne a noi. Proprio attorno alla bellezza si può costruire una politica bella (o almeno una bella politica).
Le prassi che abbiamo elencato – e ce ne sono molte di più – hanno il pregio di mobilitare le persone. Ma per trasformare una mobilitazione in movimento occorre una sintesi politico-culturale semplice e chiara, attraverso la quale leggere le prassi, identificare i problemi e pensare il mondo. Attualmente la parola-chiave capace di far sintesi è sostenibilità. È un atteggiamento, è un’indicazione, è un’elaborazione che ormai richiama una produzione culturale e politica vivace e sterminata: un mondo più sostenibile, uno stile di vita più sostenibile, un provvedimento normativo sostenibile, la sostenibilità finanziaria e tanto altro. Sul piano culturale un altro atteggiamento interessante potrebbe essere riassunto dalla parola salvezza. Salvare il Paese, salvare il mondo, salvare le persone, salvare le comunità, salvare la natura. La salvezza richiama anche la salute, lo scampato pericolo, la cura.
Che si parli di sostenibilità, che si parli di salvezza, non possiamo comunque non chiederci come rappresentare politicamente tutto questo. Quale partito se ne farebbe carico? Poniamo la questione sapendo che la politica italiana è complicata. Magari quella europea potrebbe forse aiutarci? Sarà una questione trasversale per tutti i soggetti politici oppure ci sarà un partito che assumerà il tema della sostenibilità come valore cardine? A tutti questi interrogativi occorrerà dare una risposta. Avere un soggetto politico forte significa poi tradurre la questione ambientale in atti normativi, in disegni di legge, in norme aziendali, e anche in nuovi modelli di comportamento. Nell’attesa sarà importante firmare il Manifesto “Un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica”.