Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
È morto da prete. Ma è vissuto da prete, anche se da trent’anni era sospeso a divinis, ridotto allo stato laicale per aver scelto di impegnarsi direttamente in politica. Parlamentare Europeo prima, con Democrazia Proletaria, parlamentare italiano, dopo, con Rifondazione Comunista. Al termine dei due mandati, tanta passione per il mondo: tra i fondatori di Chiama l’Africa, direttore della rivista Solidarietà internazionale del CIPSI, attivo in Pax Christie nel movimento Beati i costruttori di pace. Con loro e altri 500 costruttori di pace entrò nella Sarajevo assediata e negli anni novanta si recò spesso in Bosnia a portare aiuti e speranza. Sempre in prima fila a difesa degli ultimi, impegnato nella lotta per i diritti e la dignità dei migranti. In nome dell’uomo (“Compagno è una bellissima parola. È impegnativa! Significa spezzare il pane. Compagno vuol dire che io non posso vivere se non faccio vivere gli altri insieme con me”). In nome del Vangelo. Perché Eugenio Melandri era così. Tenacemente convinto che si potesse essere fedeli al Vangelo solo se si era fedeli ai poveri. Quelli concreti, in carne ed ossa. Glielo aveva ricordato il suo grande amico, don Tonino Bello, che gli mandò il programma pastorale steso per Molfetta, “Insieme alla sequela di Cristo con il passo degli ultimi”, con una dedica: “A Eugenio che cammina con gli ultimi con il passo dei primi”.
Un prete e un missionario appassionato
L’avevo conosciuto tanti anni fa, a metà degli anni Ottanta, quando era Direttore di Missione Oggi, la rivista dei Missionari Saveriani. Lo invitavo spesso a Bergamo e non si è mai sottratto. Veniva a parlare di cooperazione e di Africa, di giustizia e di utopia, che, diceva, non è il luogo dell’impossibile ma il luogo del non ancora possibile ora e che dobbiamo impegnarci a costruire. Spesso in tandem con padre Alex Zanotelli con cui condivise molte battaglie, dalla lotta alle spese per gli armamenti (la campagna “contro i mercanti di morte”) a quella contro la fame. Battaglie che entrambi pagarono pesantemente.
Padre Alex decise di partire per l’Africa, padre Eugenio accettò la proposta di entrare nelle liste di DP per il Parlamento Europeo sapendo che la scelta comportava, a norma del Codice di Diritto canonico, la sospensione a divinis perché è fatto divieto ai preti di militare in un partito e di rivestire cariche pubbliche. Non fui d’accordo con la sua decisione e glielo dissi, in un confronto franco e aperto. Dopo di allora è capitato di incrociarci in qualche iniziativa per la pace o per i migranti.
“Hai fatto bene”
Lo scorso anno, era stato invitato a partecipare all’Eucarestia a Santa Marta in Vaticano. Questo è il racconto che ha fatto su Facebook. “… Alla fine della Messa Francesco si toglie i paramenti in sacrestia, si ferma qualche minuto ancora a pregare in chiesa, poi si mette all’uscita, in modo da poter salutare tutti. Padre Silvio si presenta come missionario Saveriano (è in carrozzella da 50 anni ed è stato oltre 20 anni in Congo a Goma). Poi si rivolge al Papa e dice: “Questo è Eugenio Melandri. Un nostro fratello, uno dei nostri”. Io lo interrompo e dico: “Padre io ero un saveriano, ma ho dovuto lasciare perché mi sono candidato al Parlamento europeo e sono stato parlamentare”. Stavolta mi interrompe Silvio: “Ma ha sempre continuato a lavorare con noi e a fare le stesse cose che faceva prima”. “Si – rispondo io – è vero, ho sempre continuato a fare le stesse cose”. Papa Francesco mi prende una mano, me la stringe forte e mi sorride. Poi mi dice: “Hai fatto bene”.
Per me sentirmi dire dal Papa che ho fatto bene è stato incredibile. Ho vissuto queste parole, che in sé non dicono nulla, come una sorta di sigillo della mia vita.
Mi sono domandato tante volte se sia stato giusta o sbagliata la mia scelta. Questo “Hai fatto bene” è una grande consolazione. L’ho fatto non per potere, per prestigio o per denaro o per altro. Credevo fosse la scelta migliore. Adesso Il Papa con quell’Hai fatto bene, mi ha confermato in questa scelta e per me è una cosa grandissima. Aiutatemi davvero a dire grazie al Signore per questo. Alla fine dico al Papa che ho il drago che mi mangia dentro [aveva da poco scoperto di avere un tumore al pancreas] e che in questa situazione i saveriani mi hanno voluto ancora tra loro. Gli dico che continuo a pregare per lui e che gli voglio bene.”
La vita è adesso
Lo scorso mese di settembre la notizia comunicata agli amici: “Da tre giorni don Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna mi ha incardinato nella diocesi di Bologna. Per cui in questo momento sono parte dei sacerdoti di Bologna, posso tornare a celebrare l’Eucaristia in attesa di essere poi restituito ai saveriani. È stata una cosa quasi improvvisa della quale sono contentissimo. Non so quando tornerò a celebrare l’Eucaristia. Voglio passare un po’ di tempo a pregare e a prepararmi per arrivare il più degnamente possibile a questo appuntamento”.
Il 20 ottobre, nella coincidenza della giornata missionaria mondiale, Eugenio Melandri nella sua Romagna, circondato dall’affetto degli amici di sempre e dei missionari Saveriani che da tempo lo avevano accolto in una loro casa, ha celebrato la sua seconda prima messa. “Il Signore non poteva essere più buono con me. La vita è adesso”, scrive in un post. Avrebbe voluto celebrare sulla tomba di don Tonino Bello, ma la malattia stava accelerando il suo corso. Una settimana dopo, il 27 ottobre, padre Eugenio Melandri muore.
Dal testamento
“…Desidero che alla ma morte vengano fatti funerali sobri e poveri; essere composto nella bara avvolto solo in un lenzuolo bianco. Voglio tornare come sono venuto. Senza nulla. Che non ci siano fiori. Chi volesse ricordarmi devolva i soldi in beneficenza. Ricordandosi soprattutto dei poveri. Desidero ringraziare ad uno ad uno tutti quelli che mi sono stati vicini e mi hanno voluto bene. I miei fratelli, i miei nipoti e tutti i parenti. I tanti amici che mi sono stati accanto e hanno reso più libero e più facile il mio viaggio in questa vita.
So di essere stato un privilegiato. Di questo ringrazio Dio e gli chiedo di accogliermi, pur con i tanti miei peccati, fra le sue braccia. Vorrei essere capace, per questo prego Dio, di morir bene. Con tanta riconoscenza verso tutti.”