Di don Cristiano Re, accompagnatore spirituale Acli Bergamo
Omelia in occasione dell’assemblea regionale Aval Lombardia
Ogni volta che ci troviamo attorno al tavolo della comunità che è la tavola attorno alla quale Dio ancora una volta e per sempre prende casa in mezzo a noi, dentro alle nostre vite, noi aggiungiamo una pagina alla grande storia della passione di Dio per gli uomini
E quel pane e quel vino assieme ad un gesto ed alcune parole, raccolgono dentro di se i passaggi delle nostre vite di tutti i giorni per trovargli un posto dentro alla lunga storia di comunione e alleanza che Dio offre a noi.
Storia antica… storia di vicinanze offerte e fedeltà tradite. Storia di un Dio che non si piega all’evidenza del nostro piccolo e povero reale, ma inventa nuove vie possibili, fino ad allora impensate.
Storia delle nostre storie che per noi come per Dio non sono scritte su fredde tavole di pietra ma piuttosto impresse e sigillate nel cuore, scritte sulla sua pelle, sul palmo della mano, dentro ai suoni ed ai toni delle nostre voci; storie che passano da sguardo a sguardo…
È qui che sempre e per sempre, in quel “fare memoria”, che noi cristiani non smettiamo di ripeterci e compiere da quella notte in poi, che Dio persevera rimettendosi di nuovo all’opera per ritessere il legame, ricreare confidenze e vicinanze perdute, e non per conto terzi, ma mettendo in gioco la sua stessa vita…
” Il dono più grande… Non c’è dono più grande…”
“Prendete e mangiate… Sono io il dono della nuova alleanza…”
Corpo, sangue, cuore, sentimento, intelligenza, sogno, delusione…
“Prendete e mangiate…” Ecco cosa intende Dio quando parla del dono più grande, quando quella notte e ogni volta che ci mettiamo a tavola con lui, ci offre di essere Eucarestia.
Ecco, il pane e il vino che sono Dio, ogni domenica ci raccontano che davanti alla fatica dell’uomo a restare fedele, Lui si fa carico della responsabilità di una vicinanza, che non si ferma mai…
Raccontano che c’è una misericordia che precede ogni nostra risposta e resta anche dopo i nostri tradimenti, il nostro essere poveracci, mediocri o tiepidi…
E così ci risulta facile ritrovarci in mezzo a quella folla incantata del Vangelo che sente nelle parole di Gesù un gusto ed una passione diversa e capace di entrare dentro…
Quando c’è qualcosa che ti ha preso il cuore, ti metti in cammino per cercarlo e trovarlo e quando ci sei non t’accorgi neppure del tempo che passa. Ci sono persone che ascolteresti per ore senza mai stancarti.
Così è stato quella sera. Più che parole, quelle di Gesù erano abbracci che facevano sentire a casa, nella casa del cuore.
Poi Gesù a un certo punto si ferma e chiede di provvedere perché quella gente possa avere qualcosa da mettere sotto i denti.
Gesù propone di compiere la grande opera cristiana che è quella di prendere sul serio la fame della gente, di non scappare davanti a questa fame.
Quante volte riduciamo la nostra esperienza di Chiesa a parole da dire, a pratiche da svolgere e non capiamo che tutto dovrebbe partire dall’ascoltare la fame della gente… Certo non nascondiamo che è facile da dirsi. A volte davvero sembra che Dio la faccia facile. Aiuta, sfama, sii felice, tieni nel cuore le cose importanti, fidati. Ma poi come si fa?
Come si fa a provvedere agli altri quando quasi ti sembra di non averne per te stesso?
Come fai a sfamare quando senti nella pancia i morsi della fame?
Allargo il pensiero e mi si affollano in testa la tanta fame che abita il cuore e la pancia degli uomini, quella che sta dentro di me.
Come si fa ad avere davvero una vita piena e a donare vita piena agli altri? come si fa a star bene e a far star bene?
Ci sono cose che sembrano davvero troppo grosse; ci sono buchi nello stomaco che davvero sembra impossibile colmare e che ti lasciano in un attesa infinita e che consuma… Cosa può la mia povertà, il mio smarrimento, le mie paure, i miei pochi mezzi in certe situazioni…?
Quanto valgono le parole e le promesse di bene e di vita buona che ho ascoltato e detto quando poi nei fatti mi sembra proprio di non averne per nessuno?
Ecco quello che credo sia uno dei più alti volti della Fede: sentire che l’abbondanza di Dio può partire proprio da mio pochissimo, da ciò che a me sembra essere inutile e incapace di rispondere a ciò di cui ho bisogno e a ciò di cui c’è bisogno.
Dio per nutrire di pane e di speranza un uomo, ha bisogno di me, che io ci stia e mi Fidi più di lui che di me.
Una persona cara mi ha ridetto ancora una volta “ Dio sa sempre fare qualcosa di buono…”
Ecco l’Eucarestia che sempre e per sempre ci ricorda che è possibile crescere nella vita solo se si rinuncia a quello che si possiede e se ne fa dono, e ancora di più se si è capaci di vincere la nostra povertà e piccolezza lasciando fare a Dio… Oltre la logica, oltre la ragionevolezza, oltre come debbano andare le cose secondo noi… Quando non ne hai più, non smettere di lasciar fare a Dio e fai la tua parte a disposizione della Grazia di Dio, del dono di Dio… Accade così tutte le volte in cui la vita misura la sproporzione tra bisogno e risorse umane.
Non è forse così nelle nostre relazioni?
Quando la vita la trattieni, l’hai bell’e persa tu e chi ti sta intorno. Quando ti chiudi nel male della tua povertà del tuo bisogno, il male cresce in te e in chi ti sta intorno.
Il volto splendido e impegnativo della Fede, una vera e propria destabilizzazione che passa dalla sicurezza all’affidamento.
Abbiamo bisogno di recuperare la capacità di rischiare e la fiducia incondizionata nell’ amore che può sempre di più della morte.
Volenti o nolenti, prima o dopo, ecco la posta in gioco. Ogni giorno.
Dobbiamo davvero toglierci dalla testa la convinzione che la soluzione dei problemi vada cercata altrove perché di certo non è nelle nostre mani e in quelle di chi ci sta accanto.
È splendido e rivoluzionario poterci dire che lo spazio ideale perché Dio possa operare è il niente che diventa tutto, diventa promessa di una vita donata e garantita da Dio, diventa una ricchezza inaspettata.
Gesù fa raccogliere il niente e lo rende cibo per tutti nel gesto della condivisione.
Lo sento e lo sentiamo, non c’è cammino che non riparta continuamente con l’umile atto di “raccogliere il proprio niente” davanti al Signore sempre più grande della piccolezza umana, lasciare che su di esso cada la sua benedizione che ricrea e rinnova, per scoprire che dentro a ciò che per l’uomo è impossibilità incapacità, passa la potenza della Grazia.
Fate continuamente tutto questo in memoria di me…
Ecco il corpo di Dio che vogliamo celebrare, ritrovare in noi, donare alla fame di chi la vita ci mette davanti.