Quando nacque, nel 1974, l’Irpef presentava una trentina di scaglioni, per rendere veramente progressiva l’imposta. Ecco, oggi sono solo cinque. Sarà per l’idea di semplificare, sarà perché alla fine ognuno controlla “il proprio” scaglione e non bada cosa succede nello scaglione altrui, sta di fatto che nel tempo molti scaglioni se ne sono andati. Solo cinque sono sopravvissuti (e tre o quattro di questi vivono pure una sorta di nevrosi, visto il dibattito pubblico).
Il primo dei cinque scaglioni è quello della no tax area, dove il reddito è non superiore ai 7.500 euro, cioè una media mensile di circa 600 euro. L’ultimo scaglione, quello dei ricconi, di quanto sarà? Se pensate che arrivi a sfiorare i redditi di alcuni noti personaggi pubblici vi sbagliate di grosso, perché l’ultimo scaglione concerne i redditi superiori ai 75mila euro. Una volta l’aliquota massima era oltre il 70% ora supera di poco il 40%. Secondo alcune fonti, l’arco reddituale della classe media andrebbe dai 20mila euro annui di un operaio ventenne ai 120mila euro annui di un manager alle soglie della pensione. Al di là del gap generazionale, dell’essere maschi o femmine, operai o manager… sottolineiamo che l’arco comprende tutta la cosiddetta classe media, dalla medio-bassa alla medio-alta. Giustamente la norma non colpisce coloro che hanno un reddito molto basso. Ma perché tratta allo stesso modo un manager da 80mila euro l’anno e un riccone da 800mila euro o un nababbo da 8 milioni di euro l’anno? Non si sa. Nel 1974 gli scaglioni partivano da 1 milione per arrivare a 500 milioni di lire, quindi con un rapporto di 1 a 500. Oggi il rapporto è di 1 a 10. La realtà è che forse la flat tax c’è già anche senza introdurla: la tassazione in Italia è piuttosto piatta. E ingiusta. Perfino senza scomodare la Costituzione. Forse bisognerà cercare qualche altra strada per ridare giustizia, soprattutto ai più poveri. Perché se non è così, che senso ha la politica?