A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Nelle scorse settimane, molti hanno ricordato il centenario dell’“Appello a tutti gli uomini liberi e forti” di don Luigi Sturzo che diede vita alla nascita del Partito Popolare. Dal 1874 i cattolici erano obbligati dal non expedit al ritiro dalla vita pubblica nazionale e in larga maggioranza si trovavano su posizioni critiche, se non intransigenti, nei confronti della modernità liberale. La nascita del Partito Popolare permise ai cattolici di assumere, senza alcuna tutela ecclesiastica, la responsabilità nell’agone politico, attorno ad un programma a favore della democrazia (e non era una cosa affatto scontata al tempo), del bene comune e dei poveri.
Il partito non confessionale di don Sturzo
Un partito di massa a forte radicamento sociale (siamo a meno di trent’anni dopo dalla Rerum Novarum di Leone XIII), laico e aconfessionale che venne guardato con sospetto da molti. Anche da persone come padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica, e don Francesco Olgiati che, subito dopo la nascita del Partito, scrissero polemicamente un opuscolo dal titolo eloquente: “Programma del Ppi. Come non è e come dovrebbe essere”.
Nei loro intendimenti il nuovo partito avrebbe dovuto accentuare il carattere cristiano-cattolico. Sturzo fece subito argine a questa impostazione: non voleva fondare un partito “cattolico” né, tantomeno conservatore. E per motivare la scelta amava usare l’immagine della piazza adiacente a una chiesa dove convengono tanto coloro che escono dalla Chiesa santificati, quanto coloro che vanno in Chiesa per santificarsi, e anche gli altri che si fermano in piazza per accudire ai loro affari o per conversare; anche costoro di tanto in tanto levano gli occhi alla chiesa, come se desiderassero di avere tempo o agio o volontà per entrarvi. Il partito politico può somigliarsi alla folla che sta in piazza, che da qualsiasi parte vi arrivi, non può non vedere la chiesa. I nostri principi sono chiari, il programma è lineare, il titolo parla da sé. Democrazia è il regime politico che noi vogliamo, ma cristiana ne è la concezione morale. Senza morale impossibile una sana politica; senza morale cristiana impossibile una politica degna dei paesi a civiltà cristiana”. In un’altra occasione, con altrettanta lucidità riprese, e liquidò, la questione: “É superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico: i due termini sono antitetici. Il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione.”
Perplessità circa un nuovo partito “cattolico”
Di questi tempi, insieme alla memoria dell’Appello di don Sturzo, cresce, nel mondo cattolico, la voglia di fondare un partito. Alcuni tentativi sono in atto. Penso al progetto di Democrazia solidale, voluto da ambienti vicini alla Comunità di Sant’Egidio. Dirà il tempo se e come questa formazione, insieme ad altre che si stanno immaginando, avranno vita e futuro. Sono esperimenti pensati e partoriti non tanto per nostalgia della Democrazia Cristiana quanto per la difficoltà all’interno dell’attuale quadro politico di riuscire a dare forma e traduzione ad alcuni valori che sembrano dimenticati dall’agenda di chi governa.
Queste operazioni mi vedono personalmente molto scettico. Sono convinto che oggi sia tempo di semina. E che le migliori energie dei laici e delle loro associazioni debbano essere messe a servizio della formazione. Non occorre guardare molto lontano: ciò che sta avvenendo in questi mesi rende evidente l’urgenza di ricostruire nelle nostre comunità un tessuto umano lacerato.
Un tessuto da ricostruire
Bisognerà chiedersi come questo sia potuto accadere. Quali sono state le nostre colpe e le nostre omissioni. Insieme, bisognerà lavorare per rifare, pazientemente, una grammatica dell’umano. Non dando più per scontato nulla. Per ritradurre laicamente, dentro la città di tutti, con competenza e rigore, e non solo con slogan e buone intenzioni, il buono del Vangelo. Che è il buono dell’umano, sempre più grande del recinto ecclesiale.
Servono comunità cristiane che rincentrandosi sulla Parola (“Porta il Vangelo e solo il Vangelo”, è lo scarno biglietto che don Giuseppe Dossetti fece avere a Martini il giorno del suo ingresso a Milano) e sull’Eucarestia aiutino i laici a cogliere che non c’è fedeltà a Dio senza fedeltà al mondo. Per aiutarli a leggere insieme Bibbia e giornale, Concilio e Costituzione. Per un discernimento che renda evidente quanto sia inutile gridare a difesa dei crocefissi di legno se non si difendono i crocefissi di carne. Comunità cristiane che assumino, finalmente!, la consapevolezza di essere minoranza dentro questo tempo e dentro la nostra gente che pure, di tanto in tanto, affolla ancora le chiese.
Seminare oggi per raccogliere, nei prossimi anni
Sarà un percorso lungo, il cui raccolto, forse avverrà tra diversi anni. Eppure bisogna cominciare. Con una sottolineatura ben espressa da Guido Formigoni: il Partito Popolare di don Sturzo nasceva sull’onda di un radicamento sociale capillare nella vicenda italiana, “fatta di molteplici esperienze collettive, dalle leghe sindacali alle casse rurali, dalle società di mutuo soccorso alle scuole popolari, dalle cooperative ai giornali di battaglia. Il partito recuperava tutto questo patrimonio, interpretava le sue istanze, ma ne proiettava con autonomia il senso in un progetto politico articolato, che collegava tra loro mondi diversi, tramite un disegno generale. Era inequivocabilmente una vicenda socialmente radicata, ma anche creativa e progettuale”. Seminare, pensare, formare e intrecciare. É l’agenda per il prossimo dieci anni.
A chi abusa del nome cristiano: “non in mio nome”
Intanto, “non in mio nome!”. Ogni qualvolta si usa e si abusa del nome cristiano, si abbia il coraggio – anche da parte di molti praticanti, oggi silenti e sedotti – di dire “non in mio nome! Non in mio nome!”.
Val la pena ripetere che del Dio di Gesù poco si può dire. L’unica cosa certa che ha sempre le sembianze dell’uomo. Specie di quanti fanno più fatica. Il resto non è Vangelo.