A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Per Davide, il mio secondo figlio, la veglia di Natale in Val Codera, è un appuntamento obbligatorio. Lui e don Roberto Pennati mi hanno spiegato che la Val Codera è una valle secondaria della Valchiavenna. Pochi borghi, compresi interamente nel Comune di Novate Mezzola, in provincia di Sondrio. Un giorno o l’altro dovrò decidermi a salire. Qui, tra il 1944 e il 1945, lo scoutismo italiano – sciolto per decreto dal fascismo una quindicina di anni prima – ha scritto una delle sue pagine più gloriose. Un gruppo di loro, ragazzi di Milano e di Monza, decise di non sottostare al diktat fascista, di iniziare il periodo della cosiddetta “Giungla Silente” e di mantenere ugualmente fede, in clandestinità, alla “Promessa” e alla “Legge”. Vollero chiamarsi “Aquile randagie”, proprio perché il gruppo, composto da 20/25 iscritti, per ragioni di sicurezza era privo di sede.
Usando messaggi in codice e cifrati per non venire scoperti, quei ragazzi continuarono a ritrovarsi, utilizzando proprio la Val Codera, per le attività clandestine, i campi estivi, i fuochi serali. Li guidavano Andrea Ghetti, del gruppo Milano 11, detto Baden, e Giulio Cesare Uccellini, capo del Milano 2, che prenderà il nome di Kelly. Il fascismo non li ignorò: Kelly fu pestato a sangue da una squadraccia, in una notte d’autunno, e ci rimise l’udito da un orecchio. Le intimidazioni non furono sufficienti a fermarli. Una storia di coraggio, di paura, di fedeltà e di ribellione. Che dopo l’otto settembre 1943 prese una piega particolare. Insieme a Don Giovanni Barbareschi e ad altri parroci milanesi, diedero vita all’OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) per favorire l’espatrio di ricercati dalle forze tedesche, prigionieri di guerra, renitenti alla leva ed ebrei, oltre che per sottrarre fascisti e nazisti alla vendetta dei vincitori, dopo la fine della guerra. La loro attività si riassume in 2.166 espatri clandestini, 500 preallarmi, 3.000 mila documenti di identità falsi e una spesa di circa 10 milioni di lire. Tutto rigorosamente documentato.
Don Giovanni Barbareschi, Giusto tra le Nazioni
Nei mesi scorsi a Milano è morto, a novantasei anni, don Giovanni Barbareschi, l’ultima “Aquila randagia”. Medaglia d’argento della Resistenza, Giusto tra le Nazioni, don Giovanni ha raccontato più volte come iniziò quest’avventura. “Nel settembre 1943 mi trovavo alla Casa Alpina di Motta, in Valle Spluga sopra Madesimo. Una sera arriva una famiglia, padre, madre, due bimbi di pochi anni. Sono ebrei, ricercati e dai tedeschi e dai fascisti e chiedono di essere aiutati a raggiungere la Svizzera. Il mattino seguente viene organizzata una gita al lago d’Emet, zona molto vicina al confine, una delle gite abituali per i giovani ospiti della Casa, ma quella volta con un impegno e una motivazione diversi.
Alla partenza il gruppo da me guidato era composto di 25 persone. Al ritorno eravamo solo in 21, ma i tedeschi di guardia al confine non si sono accorti di nulla. Così inizia per me il periodo intenso della lotta clandestina, della Resistenza. Aiutare gli ebrei ricercati, aiutare i prigionieri inglesi fuggiti dai campi di concentramento, aiutare i ricercati politici o i giovani renitenti alla leva della Repubblica di Salò… Dai passaggi in Svizzera attraverso le montagne dello Spluga ai passaggi attraverso la rete nei dintorni di Varese o di Luino… E la conseguente necessità di fabbricare documenti falsi, certificati falsi, lasciapassare, salvacondotti, passaporti”. Da questa rete fu salvato anche Indro Montanelli, che era finito pure lui a San Vittore, e che chiamò poi don Giovanni il “buon Caronte”, “per il valido aiuto che dette al salvataggio della mia pelle”.
“Così la Chiesa primitiva onorava i suoi martiri”
Ancora diacono, il 10 agosto del 1944, fu incaricato dal cardinal Schuster di andare a impartire la benedizione ai partigiani uccisi in piazzale Loreto. Venne ordinato sacerdote tre giorni dopo e celebrò la sua prima Messa il 15 agosto; la notte stessa fu arrestato dalle SS, mentre si stava preparando per accompagnare di nuovo in Svizzera alcuni ebrei. Restò in prigione fino a quando il cardinale non ne ottenne la liberazione. Quando in seguito si presentò a lui, Schuster si inginocchiò e gli disse: «Così la Chiesa primitiva onorava i suoi martiri. Ti hanno fatto molto male gli Alemanni?». Dopo qualche giorno don Giovanni partì per la Valcamonica, aggregandosi alle Brigate Fiamme Verdi e divenne cappellano dei partigiani. Venne arrestato e portato nel campo di concentramento di Bolzano da dove riuscì a fuggire prima di essere trasferito in Germania. Ritornato a Milano divenne il “corriere di fiducia” tra il Comando alleato e quello tedesco durante le trattative per risparmiare la città da rappresaglie.
Il fascismo spiegato da chi l’ha subito
In un intervento di pochi anni fa, don Giovanni (“che stimo e apprezzo da tanti anni come patriarca”, disse di lui il cardinal Martini) con lucidità scriveva che:
il fascismo non è solo una dottrina o un partito, una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere nel quale ci si arrende e ci si piega per amore di un quieto vivere o di una carriera. Il fascismo è una mentalità nella quale la verità non è amata e servita perché verità, ma è falsata, ridotta, tradita, resa strumento per i propri fini personali o del proprio gruppo o del proprio partito. E’ una mentalità nella quale teniamo più all’apparenza che all’essere, amiamo ripetere frasi imparate a memoria, non personalmente assimilate, e gridarle tutti insieme, quasi volendo sostituire l’appoggio del mancato giudizio critico con l’emotività di un’adesione psicologica, fanatica.
Estote parati
Le Aquile randagie, don Giovanni e un piccolo gruppo di giovani, in un tempo in cui molti cattolici hanno preferito tacere, hanno preso sul serio il motto di Baden Powell: “Be prepared” che lo scoutismo italiano ha tradotto in latino con l’ espressione evangelica (Luca 12,40, Matteo 24,44) Estote parati: siate preparati, siate pronti. Pronti anche a resistere. Perché, come amava spesso ripetere don Giovanni, a fare di noi persone liberi non saranno mai gli altri, non le strutture e neppure le ideologie.
Continuando il discorso delle Beatitudini non avrei paura ad affermare: “Beato colui che sa resistere”, anche se il resistere oggi è più difficile perché non siamo di fronte a mitra puntati, ma siamo coinvolti in un clima di subdola persuasione, di fascinosa imposizione mediatica, che è come una mano rivestita di un guanto di velluto, ma che ugualmente tende a toglierti la libertà. Questo invito a una resistenza è rivolto a voi giovani, è rivolto a ogni uomo che crede possibile e vuole diventare un uomo libero, senza trovare nelle difficili situazioni esterne il rifugio o la scusa alla propria pigrizia.
Estote parati! Buon anno a tutti.