Il tradizionale messaggio per la pace del Papa in occasione del 1° gennaio – giornata mondiale della pace – arriva quest’anno alla sua 52ma edizione. Non lo scriviamo per amore statistico, semmai per cogliere l’occasione di ricordare Papa Paolo VI, che nel 1968 ha dato inizio a questa tradizione e che nel 2018 è stato canonizzato.
Ma torniamo a noi. Come tutti i messaggi per la pace, anche questo si presterà a due tipi di reazione. La prima – che chiamiamo quasi appropriatamente reazione – ridurrà il tutto ad una sorta di irenismo politico-religioso, per cui il richiamo alla pace diventa una fuoriuscita da collocare nel genere politically correct ovvero negli obblighi che si debbono pagare alla modernità. Qualcuno la penserà così e scriverà così sul suo giornale. Ma sbaglia. Perché invece il messaggio – ecco la seconda interpretazione – descrive con chiarezza la linea politico-culturale della Chiesa rispetto alla fase politica, con qualche sguardo non troppo remoto anche della realtà italiana. Insomma, potremmo dire che con i messaggi per la pace la Chiesa coglie l’occasione per precisare il suo punto di vista rispetto allo scacchiere mondiale e ad offrire qualche chiave di lettura per parlare di pace in modo contemporaneo alla luce del Vangelo. Per cui anche noi potremmo scrivere molto, a commento del (peraltro breve) testo. Ci limitiamo a commentare una parola, un numero, che induce ad un qualche pensiero positivo: la parola-numero è unità.
Premessa. Il pontefice usa la parola unità quando elenca i vizi e le virtù del politico, ovvero una serie di cose buone e cose cattive che il politico deve fare (le prime) e non fare (le seconde). È uno schema interessante che permette di testare il politico cristianamente ispirato da quello che non lo è. Le domande sono facili: il politico ha coscienza del suo ruolo particolare? Ciò che predica a parole si ritrova anche nella sua vita reale? È coerente? Sa ascoltare? Lavora per il bene di tutti o di una parte specifica? Ha paura o induce paure? È impegnato in un cambiamento reale e radicale? È impegnato a realizzare l’unità? Ecco la parola, ecco la domanda: è impegnato a realizzare l’unità?
Non si tratta certo di un riferimento all’omogeneità, culturale o di altro tipo. Il Papa è ben consapevole del fatto che la modernità non possa essere una reductio ad unum, ad un’unica lingua, realtà, cultura, etnia, istituzione. Tutto ci parla di pluralità: non a caso – nell’Evangelii gaudium – scelse l’icona del poliedro per spiegare come il tutto sia superiore alla parte. Mentre nella sfera ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro, il poliedro riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità, la loro identità, la loro forma. Corollario di questo punto è dunque l’accettazione delle differenze. Ecco perché – anche questa volta – si ribadisce il netto rifiuto verso ogni forma di razzismo e di xenofobia: perché castrano ogni differenza (anche di talenti).
In questa tensione verso l’unità sembra di scorgere un invito a proseguire la costruzione delle comunità (parola che contiene la parola unità). Ovviamente il messaggio – che è rivolto al mondo intero – non parla del caso specifico dell’Europa (anche se il passaggio in cui parla dell’importanza del rispetto “delle regole comunitarie” appare… sospetto: perché non parlare del rispetto della legalità?), ma non possiamo neppure far finta di nulla rispetto al fatto che la Chiesa cattolica sia l’unica potenza mondiale che ancora crede nella costruzione dell’Europa unita, comunitariamente unita. Non ci credono più gli Usa di Trump, non ci vuole credere la Russia di Putin e alla Cina probabilmente non importa granché. La Chiesa invece – basti rileggere lo splendido discorso di Papa Francesco al conferimento del premio Carlo Magno – crede nel progetto europeo. Progetto: è così che il Papa ha chiamato l’Europa. Ci sorge un’assonanza anche in questo messaggio, quando parla della pace come grande progetto politico, di responsabilità e interdipendenza. Quindi la linea è chiara: comunità aperte e rispettose fanno la buona politica. Non occorre avere orecchi particolari per capire quale sia la sfida che aspetta.