Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Un’adorazione riparatrice (fortunatamente) mancata
Un’adorazione eucaristica in riparazione del Gay Pride presso la Chiesa dei frati Cappuccini in Bergamo. Cosi era stata annunciato con un tam tam tramite i social. Poi il dietrofront. L’adorazione non si farà. Cosi ha deciso il coordinamento provinciale del Popolo della Famiglia, il movimento politico che l’aveva promossa. Ai frati cappuccini – speriamo non loro malgrado – è stata offerta una bella occasione per sottrarsi (e sottrarre la loro chiesa) ad una strumentalizzazione che, mi pare, aveva davvero poco di evangelico e per evitare di trasformare un segno di comunione in una clave incattivita contro donne e uomini che vivono l’orientamento sessuale nella direzione omosessuale. Bene aveva scritto un prete bergamasco sulla sua pagina Facebook:
La convinzione che certe scelte personali possano in qualche modo generare in Dio un’offesa che qualcun altro sia incaricato di riparare, mi pare un’idea semplicemente arcaica, infantile, anacronistica, ma soprattutto profondamente antievangelica. Nemmeno la teologia classica, compresa nel suo contesto storico, ha mai concepito la categoria della riparazione in modo tanto grezzo. Si offende oltretutto la stessa dignità del sacramento, che da segno di una comunione da custodire a oltranza, viene trasformato nel magico talismano di un risentimento religioso corporativo. Basterebbe semplicemente chiedersi cosa farebbe Gesù. E si capirebbe subito chi in questa storia gli sta realmente più vicino.
Gli omosessuali ci sono nelle nostre comunità. Ma è come se non ci fossero
È evidente che noi cristiani, per molte ragioni, abbiamo molte difficoltà ad esprimere qualcosa nei riguardi delle persone omosessuali. Eppure, come è naturale, nelle nostre comunità ce ne sono. Ma non si deve dire. La cosa va tenuta nascosta. Certo per delicatezza e rispetto. Ma anche per un imbarazzo che si preferisce risolvere così. Appartiene a quelle realtà proibite e interdette che vanno eliminate persino dalla parola scambiata, da qualsiasi tentativo di riconoscimento. Non dovrebbero esistere. È come se non esistessero. Eppure gli “omosessuali” sono persone che vivono accanto a noi e chiedono, anzitutto, di essere considerate delle persone; di non essere catalogate in una categoria emarginata, oggetto di battute e prese in giro umilianti, costrette a nascondersi. Una comunità cristiana poi dovrebbe avere il coraggio di maggiore libertà: l’omosessuale come ogni persona è nostro prossimo e ha dunque diritto al nostro rispetto; e soprattutto ha il diritto che la Chiesa lo ascolti e lo accolga. Il Vangelo dovrebbe rivolgersi a lui con particolare attenzione. Si preferisce invece tacere, fare come se questa realtà non ci fosse nelle nostre comunità; al massimo c’è qualche spazio, esclusivamente su iniziativa coraggiosa degli interessati, per qualche colloquio segreto con il prete. Evidentemente non è per cattiveria; è solo per imbarazzo. Non sapremmo cosa dire e cosa fare. Il tentativo di aprire un discorso, con tutti i pericoli di parzialità e di incomprensioni che esso presenta, è un primo gesto di attenzione e l’espressione di un desiderio di dialogo e di amicizia. Non risolve certo tutti i compiti di una vera accoglienza di queste persone nella comunità; ma è un primo passo per dare parola a questa questione complessa.
In ogni caso, anche in futuro, cari frati cappuccini evitate di dare chiese per le adorazioni. Che più che riparare, lacerano. Sanno poco di Francesco, sanno poco di Vangelo.