Dobbiamo disinnescare un’immagine che vede la religione come sorgente di guerra. Come ha affermato Papa Francesco, durante l’Angelus del 15 novembre scorso: «Usare il nome di Dio per uccidere è una bestemmia».
Oggi ci sono ampi margini per affermare invece che le religioni possano essere promotrici di pace in questo nostro tempo abbiamo l’obbligo di segnalarli perché le persone li vedano e non rimangano confusi dai fumogeni lanciati dai falsi messaggi provocati da fondamentalismi, da violenze e da terrorismi.
Il nostro è un tempo di impegno: «abitare il mondo da credenti vuol dire impegnarsi affinché siano affermati e rispettati i diritti inalienabili della persona umana e praticato lo stile dell’accoglienza e del dialogo. Ognuno di noi è un interlocutore privilegiato di questa necessaria dinamica dialogica. A ciascuno è affidato il compito di far progredire la causa della giustizia e del rispetto della dignità umana, le ragioni della convivenza democratica e della pace tra i popoli e le nazioni» come evidenzia Michele D’Avino, dell’Istituto Paolo VI.
Il tentativo nel numero di gennaio “Un dio chiamato guerra” di Benecomune.net è stato quello di chiarire che usare la religione per giustificare le guerre è una strumentalizzazione per coinvolgere i più deboli. Sono stati interpellati intellettuali e studiosi come la sociologa Chiara C. Canta, il poeta Marco Guzzi e il teologo musulmano Adnane Mokrani, esponenti delle diverse religioni come il rabbino Di Segni, l’immam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, il coordinatore della Commissione studi della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Paolo Naso, esponenti delle realtà associative Michele D’Avino (Istituto Paolo VI dell’Azione Cattolica Italiana) e Maria Chiara Prodi (Acli francesi).
C’è un cammino culturale, di dialogo tra le differenze, da intraprendere come evidenzia la sociologa Chiara C. Canta, quando segnala che «può sembrare un’utopia, ma oggi le due religioni (Islam e cristianesimo) possono convivere, non in un modalità di “vicinanza forzata”, in cui si impone una tolleranza reciproca (a volte una sopportazione), ma in una “convivenza dialogica” che può essere non solo “dialogo culturale”, “dialogo teologico”, “dialogo interreligioso” oltre che “dialogo su valori comuni”, in definitiva, come si esprimeva R. Panikkar “dialogo dialogante”».
Come c’è un cammino di conversione spirituale scrive il poeta Marco Guzzi, quando osserva che sebbene una civiltà della pace non sia mai esistita oggi si offrono delle possibilità nuove ed è compito del cristiano coglierle: «Si apre dinanzi a noi una straordinaria stagione di rinascita spirituale e di creatività culturale,di purificazione e di rinnovamento del cristianesimo storico in un confronto ben più radicale con le culture della modernità, a loro volta chiamate a purificarsi, e a riscoprire le proprie fonti cristologiche, come Benedetto XVI ci ha costantemente ricordato».
Lo spazio per una nuova civiltà, dove le religioni sono protagoniste, esiste e parte dalla misericordia. Lo mostra ad esempio l’intervista al teologo musulmano, Adnane Mokrani, che spiega: «La misericordia rappresenta un valore essenziale per la fede islamica. Un valore molto sentito. La misericordia è il cuore della missione del profeta Muhammad e questa misericordia e rivolta a tutti gli esseri umani. Il terrorismo e la guerre mostrano una mancanza di misericordia, un mondo dove si è perso il riferimento a questo grande valore. Quindi, per i musulmani, la misericordia in questo tempo è una necessità vitale per tutta l’umanità e per questo aderiscono in modo concreto a questa proposta». Lo conferma l’intervista al rabbino Riccardo Di Segni: «Il fatto che il papa abbia voluto sottolineare l’aspetto della misericordia è un dato importante perché, nel momento in cui sembra che all’idea religiosa si debba accompagnare la violenza, è un messaggio controcorrente».
Speriamo che quest’anno, dedicato dalla chiesa cattolica al Giubileo della Misericordia, sia occasione per avvicinare le varie comunità di diversamente credenti alla pace e che sia accolto il triplice appello di Papa Francesco, contenuto nel Messaggio per la 49ma Giornata mondiale per la Pace «ad astenersi dal trascinare gli altri popoli in conflitti o guerre che ne distruggono non solo le ricchezze materiali, culturali e sociali, ma anche – e per lungo tempo – l’integrità morale e spirituale; alla cancellazione o alla gestione sostenibile del debito internazionale degli Stati più poveri; all’adozione di politiche di cooperazione che, anziché piegarsi alla dittatura di alcune ideologie, siano rispettose dei valori delle popolazioni locali e che, in ogni caso, non siano lesive del diritto fondamentale ed inalienabile dei nascituri alla vita».